Bolzano, 22 novembre – Parlare del fallimento della Solland Silicon e imputarne le varie responsabilità, è come perdersi nel labirinto di Cnosso, come in ogni fallimento non esiste un responsabile unico, non esiste un Minotauro da uccidere, ma ci sarà sicuramente qualcuno che rimarrà col cerino acceso in mano.

Purtroppo l’ultima boutade del sindaco verde di Merano è l’ennesima dimostrazione di come viene considerata l’industria in questa terra. Non si pensi che sia un opinione isolata, ma è espressione di un pensiero condiviso che ha permeato lo sviluppo di questa terra negli ultimi 50 anni. Senza dubbio qualsiasi impianto chimico è rischioso, perché si riconosce facilmente e nell’immediato la pericolosità alla salute, ma questo non significa che non sia meno pericoloso di altre attività antropiche. Siamo proprio sicuri che l’agricoltura locale con il suo decennale uso di pesticidi e diserbanti non sia meno pericolosa di un industria chimica?

Siamo sempre alle solite, alla cultura divisiva di questa terra che non guarda mai il beneficio di insieme, ma tende a dividere e svilire un gruppo linguistico ben preciso, cioè quello italiano. Per poter capire questo processo nel dettaglio bisogna fare un piccolo resoconto storico.

L’industria pesante di Bolzano e del fondovalle è sempre stata vista in questa terra come un processo di italianizzazione; non è mai stata percepita come un processo di ineludibile sviluppo
economico sociale del tempo. Il processo di industrializzazione è esistito ovunque, sia in Italia che in Europa, ma per ragioni economiche e scelte industriali di concorrenza venne deciso di sviluppare
questi territori, vista la prossimità con le fonti di produzione di energia elettrica e l’abbondante disponibilità di acqua. Una scelta dettata dai costi di produzione. Questo processo di sviluppo non è mai stato visto così dalla popolazione di lingua tedesca di questa terra; quindi con l’applicazione delle prime norme di attuazione dagli anni settanta è iniziato il processo di smantellamento di una industria pesante di fondovalle delle zone industriali dei grossi centri abitati di Bolzano e Merano.

Adesso risulta facile capire l’inesorabile declino dell’industria, senza più l’appoggio di un sostegno nazionale, ma sempre più legata a livello provinciale, veniva abbandonata a se stessa. La totale assenza di piani industriali nazionali e ancor meno di quelli regionali e provinciali ha fatto si che gli imprenditori abbandonassero questa terra, non più economicamente concorrenziale e vantaggiosa.

Le scelte politiche provinciali a livello economico erano ben precise, abbandonare in un primo momento l’industria di fondovalle a vantaggio di agricoltura, artigianato e commercio, attività gestite prevalentemente da imprenditori di lingua tedesca. Così si è passati da una popolazione di lingua italiana intorno agli anni 70 al 33%, all’attuale 22% circa. Le zone industriali di fondovalle sono state trasformate in zone di espansione terziara, commerciale e artigianale, abbandonando così la vecchia industria pesante concepita molti anni prima. Questa scelta ben precisa di non stimolare la riconversione dell’industria pesante e obsoleta della fine degli anni settanta in una nuova industria leggera e di scala fu una scelta politica, e questo dobbiamo ben ricordarcelo e imprimercelo fisso nella mente. Le migliaia di tute blu che giornalmente andavano al lavoro facevano paura, erano li a dimostrare che questa terra era Italia, con i suoi difetti ma anche con i suoi pregi. Invece venne scelto di abbandonare tutto, di fare passare un tempo di decadimento per poi, in un secondo momento, ridare slancio ad un industria diversa e delocalizzata. Non più nelle zone industriali dei grossi centri urbani, ma nelle zone artigianali della periferia.

Così verso gli inizi degli anni novanta, sotto l’impulso di una nuova strategia industriale, spesso finanziata dalla nascente nuova Europa, sono nati molti stabilimenti di un industria nuova e sicuramente tecnologicamente più avanzata. Ora in questa terra esistono sicuramente nuove e maggiori attività
industriali rispetto ad una volta. Sono principalmente localizzate in centri periferici, dove il controllo è maggiore e dove risultano meno pericolose da un punto di vista sociale.

Contrattualmente parlando è sicuramente imprenditorialmente più facile gestire dieci imprese da 100 dipendenti che 1 da 1000. Per cui non esistono più le migliaia di tute blu con la conseguenza che il potere contrattuale dei lavoratori ha perso di forza. Qui non si da un giudizio, ma si fa una constatazione che in termini economici potrebbe anche avere dei vantaggi, ma la vera domanda è perché non si è fatta la stessa cosa nelle zone industriali di Bolzano e Merano?

Con o senza le boutade del sindaco di Merano la situazione è di per se difficile e il curatore fallimentare della Solland Silicon potrà fare quel che potrà, ma sicuramente non potrà rimediare a 50 anni di strategie politiche ben precise.

G.L. Cerere

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