Bolzano, 13 dicembre – Tra le tante lapidi, iniziative e giornate che ricordano i campi di concentramento del Terzo Reich, mancano all’appello però molti olocausti scomodi, sopratutto per la sinistra; l’elenco sarebbe lunghissimo e coprirebbe una tragica mappatura estesa a tutto il pianeta.

Partendo dal comunismo che, tra URSS, Cina e Cambogia ha causato oltre cento milioni di morti nel secolo scorso, ma che ancora oggi mantiene i famigerati campi di concentramento “laogai” in Asia, uno dei più grandi genocidi della storia come quello armeno, avvenuto nel 1915 dove centinaia di migliaia di cristiani furono sterminati nelle terre occupate dagli islamici dell’Impero ottomanno turco.

Recentemente se ne è discusso in consiglio comunale a Bolzano dove, con una proposta consegnata da Luigi Nevola che chiedeva il riconoscimento commemorativo della strage armena al governo turco, ne è scaturita una lunga discussione che, tra il disinteresse di molti, ha trovato però concordi maggioranza e opposizione, dall’Svp a CasaPound, dal PD a FI, nel ricordo di questo genocidio. Il centrosinistra ha però negato la mozione al consigliere leghista in quanto, effettivamente, non di competenza comunale.

Ma cerchiamo di fare un po’ di luce in mezzo alla fitta nebbia ideologica che oscura queste tragiche pagine di storia, raccontandola brevemente sulla Vedetta d’Italia, citando e consigliando alcune letture librarie.

“SENZA VIA DI SCAMPO, Gli stupri nelle guerre mondiali”
Di Michele Strazza

Prima di esaminare la violenza sessuale praticata nel primoconflitto mondiale dobbiamo accennare, seppur brevemente, agli stupri perpetrati durante il genocidio del popolo armeno voluto e pianificato dal governo turco.
La deportazione e lo sterminio del popolo armeno ha consegnato alla Storia la visione di massacri ed atrocità.
Si calcola che furono più di un milione gli armeni uccisi a cui devono e ssere aggiunte le centinaia di migliaia di vittime morte fino all’estate del 1918 nell’Armenia russa e nella Transcaucasia.

Due furono i momenti principali nei quali vennero registrati gli stupri: il primo durante la fase del disarmo degli armeni e il secondo quando la popolazione armena fu costretta ad abbandonare le proprie case ed a mettersi in viaggio per territori impervi.
Così Arnold Toynbee descisse quegli episodi accaduti nella primavera del 1915 nel suo “A Summary of Armenian History up to andIncluding the Year 1915. The Deportation of 1915. The Procedure:

<<Venne emanato un decreto in base al quale tutti gli armeni avrebbero dovuto essere disarmati. (…) Nei villaggi isolati la ricerca delle armi fu accompagnata da aperta violenza. Gli uomini furono massacrati, le donne violentate, le case bruciate dalle pattuglie della gendarmeria (…). Dopo che gli uomini armeni vennero convocati per essere messi a morte, in ogni città, c’era di solito un intervallo di qualche giorno, poi si udì ancora il pubblico araldo nelle strade ordinare a tutti gli armeni rimasti di prepararsi per la deportazione, mentre manifesti dello stesso tenore venivano affissi ai muri. L’ordine si riferiva, in realtà, alle donne e bambini, ai pochi uomini rimasti che per malattia, infermità o per l’età avevano scampato la sorte decisa per gli altri.>>

Le donne avevano un solo mezzo per evitare la deportazione: convertirsi all’Islam.
Ma ciò, in pratica, diventava impossibile perché ciò avrebbe comportato l’immediato matrimonio con un uomo mussulmano. Se la donna, invece, era già sposata o vedova (tenuto conto che pochi armeni maschi erano ancora vivi) allora avrebbe dovuto separarsi da tutti i figli, rassegnandosi al loro affidamento ad un fantomatico ed inesistente “orfanotrofio governativo” per la loro educazione islamica.
Ecco perché tutte scelsero la deportazione che, però, si trasformò in una marcia costellata da saccheggi, stupri e uccisioni.
Così, accompagnati da gruppi di gendarmi che avrebbero dovuto proteggerli, i convogli dei profughi, formati da donne, vecchi, bambini e malati, si avviarono verso un destino ignoto:

<<Era la stagione calda, i pozzi e le sorgenti talvolta erano a molte ore di viaggio, ed i gendarmi spesso si divertivano a vietare alle loro vittime sfinite di dissetarsi. (…) Alcune donne avevano avuto un’educazione raffinata e avevano vissuto nelle comodità per tutta la loro vita; alcune dovevano portare in braccio i bambini, troppo piccoli per camminare; altre erano in avanzato stato di gravidanza e partorirono lungo la strada.
Nessuna di queste ultime sopravvisse perché, obbligate e riprendere la marcia dopo poche ore di pausa, morirono lungo la strada insieme ai neonati. Molti altri morirono di fame e di sete, di insolazione, di apoplessia o per pura debilitazione. (…) Dal momento in cui abbandonavano le periferie delle città non erano mai al sicuro dalle violenze.
I contadini mussulmani li assalirono e li derubarono quando attraversavano le terre coltivate, ed i gendarmi erano conniventi con la brutalità dei contadini,così come erano stati conniventi con la diserzione dei conducenti dei carri.
Quando arrivavano in qualche villaggio le donne venivano esibite come schiave nella pubblica piazza, spesso fuori dalle finestre del palazzo del governo stesso, e ogni abitante mussulmano era autorizzato a esaminarle e prenderne una per il proprio harem; i gendarmi stessi avevano poi mano libera sulle altre ne le obbligarono a dormire con loro la notte.
Ci furono atrocità ancora più orribili quando si giunse alle montagne, poiché là incontrarono bande di “chetties” e di curdi. I “chetties” erano briganti, reclutati dalle pubbliche prigioni e deliberatamente rilasciati dalle autorità (…). Quando questi curdi e chetties attaccavano i convogli, i gendarmi sempre frate rnizzavano con loro e li imitavano (…).
I primi ad essere massacrati furono i vecchi ed i ragazzi – ogni maschio trovato nei convogli ad eccezione dei bambini in braccio alle madri – ma furono massacrate anche le donne (…).
La crudeltà dei gendarmi diventava maggiore via via che le sofferenze fisiche diventavano più intense; i gendarmi sembravano impazienti di portare rapidamente a termine la loro missione.>>

Le donne rimaste indietro venivano “trafitte con le baionette lungo la strada, o spinte nei precipizi, o gettate dai ponti”.
L’attraversamento dei fiumi, specialmente l’Eufrate, diventava l’occasione per nuove stragi. Donne e bambini erano gettati nell’acqua ed uccisi se solo tentavano di raggiungere la sponda opposta: “Il gusto e il piacere che provavano i loro tormentatori erano senza limiti”.

17) Sugli stupri durante il massacro degli armeni si vedano: Sanasarian E., Gender Disnstinction in Genocidal Process. A Preliminary Study of the Armenian Case, in “Holocaust and Genocide Studies”, n. 4 (1989); Derderian K., Common Fate, Different Experience: Gender-Specific Aspects of the Armenian Genocide.
1915-1917, in “Holocaust and Genocide Studies”, n. 1 (2005), pp. 1-25.
18) Dadrian V.N., Storia del genocidio armeno. Conflitti nazionali dai Balcani al Caucaso, Milano, Guerini e Associati, 2003, p. 25. Sul genocidio armeno cfr. anche Flores M., Il Genocidio degli armeni, Bologna, Il Mulino, 2006.
19) I brani di Toynbee sono riportati, nella traduzione italiana di Tommaso Cacciari, in Bianchi B., La violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra. Deportati, profughi, internati, Milano, Unicopli, 2006. pp. 393-399.

Andrea Bonazza

Articolo precedenteBolzano: a parco stazione una situazione intollerabile – chiuso il bar Miami
Articolo successivoIl razionalismo imperiale di Asmara in mostra tra il marmo bianco bolzanino

Lascia un commento

Per favore inserisci un commento
Per favore, inserisci qui il tuo nome