Bolzano, 14 dicembre – È stata inaugurata l’altra sera nel capoluogo altoatesino la mostra su Asmara, città africana che vanta una spettacolare architettura razionalista, ereditata dal periodo coloniale italiano.
La mostra sulla capitale eritrea è organizzata tra le colonne e le vetrate del vecchio bar Nazionale, nell’edificio razionalista Ex-INA in via Rosmini 48, proprio sotto la biblioteca civica dove fino a pochi giorni fa vi era degrado e bivacchi di immigrati e oggi, grazie anche alle richieste della commissione cultura e della Piattaforma Patrimonio Culturale e Produzione culturale della Facoltà di Design e Arti Unibz, è stato finalmente riqualificato.

Hanno presentato la mostra Waltraud Kofler-Engl, il prof. Kuno Prey e Christoph Melchers dell’associazione berlinese “Verein zur Förderung von Bildung und Publizistik zu Umwelt und Entwicklung e.V.”, Silvia Hofer della Commissione Cultura del Comune di Bolzano, il proprietario dell’immobile architetto Paolo Tosolini e il preside della Facoltà di Design e Arte, prof. Stephan Schmidt-Wulffen.

“La segreta città modernista in Africa”, questo il titolo dell’evento, ha già girato importanti città occidentali come Berlino, Londra, Monaco, Bologna e Torino, oppure paesi del continente africano come Egitto, Israele, Nigeria e Togo.

Asmara si è sviluppata grazie alla colonizzazione italiana a partire dal 1889 e diventa una importante metropoli africana con il Fascismo tra il 1922 e il 1941 in cui, tra coloni italiani e lavoratori eritrei accorsi per nuovi posti in fabbriche e cantieri, in un ventennio aumenta esponenzialmente di estensione, popolazione e strutture pubbliche all’avanguardia sia sotto il profilo urbano, sia per quello architettonico, tanto da venire definita la perla moderna d’Africa. Proprio l’anno scorso, nel 2017, Asmara viene dichiarata patrimonio mondiale DELL’UNESCO.

La capitale dell’Eritrea sembra collegata con un lungo filo nero alla nostra Bolzano, città negli stessi anni in espansione e costruzione tra bonifiche di zone paludose e importazione di forza lavoro dal resto d’Italia.
A differenza delle colonie francesi, inglesi, belghe o spagnole, Mussolini orientò l’urbanizzazione delle colonie italiane ispirandosi alla modernità imperiale propria di Roma, realizzando il sogno di una “città nuova” tra i tradizionali villaggi indigeni e dando il via, mattone dopo mattone, alla costruzione di scuole, fabbriche, ospedali, ampie e bellissime piazze, poste, ville coloniali e case popolari per nativi, rete stradale e fognaria, la Teleferica per il trasporto merci dalla marittima Massaia, all’epoca la più lunga al mondo con i suoi 75km, e tutto ciò che in quegli anni era miraggio anche per moltissime città europee.

Proprio come, all’estremo nord dell’impero, divenne Bolzano che, negli anni 20 e 30 si trasformava in città nuova e all’avanguardia, nido industriale e di importanti opere per le quali fu trampolino di lancio, diventando gioiello sociale, culturale e architettonico razionalista delle Alpi, ingrandendosi sempre più con la sua espansione a Ovest del centro storico e l’accorpamento di Gries.

Il capoluogo dell’Alto Adige, prima del vergognoso depotenziamento talebano a danno di opere architettoniche pari a quelle protette dall’UNESCO nella capitale eritrea, vantava costruzioni di pregio come il Cinema Corso di corso della Libertà, colpevolmente demolito tra lo sgomento dei cittadini, massacrando l’estetica d’insieme della zona. Questa struttura era quasi identica al bellissimo Cinema Impero di Asmara; oppure il vecchio distributore Agip di piazza Adriano, anch’esso abbattuto ma che confrontando le vecchie fotografie ricorda moltissimo quello eritreo.

Una mostra da vedere e che dovrebbe far riflettere anche i più ottusi antifascisti o anti-italiani della provincia, sul fatto che ideologicamente stanno portando avanti una guerra infima contro l’arte e la storia, la bellezza e l’ordine, arrogandosi l’ingiustificabile diritto di demolire o censurare ciò che in tutto il resto del mondo viene studiato, ammirato e preservato. Anche dall’UNESCO. Come le Dolomiti.

Andrea Bonazza

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