Trento, 18 dicembre – Siamo in Birmania, o meglio nello Stato Karen, e precisamente nella giungla, dove da 70 anni si combatte la guerra di indipendenza più lunga al mondo.
Una guerra di identità, di tradizioni contro un oppressore, la giunta militare birmana, che vorrebbe cancellare i Karen dalle cartine geografiche.
I Karen sono un popolo originario del Tibet e della Mongolia che da 2700 anni, per primi, abitano queste foreste e questi altipiani. Sono nativi e questo è un termine importante perché spiega l’attaccamento quasi viscerale che questa piccola etnia trasmette e porta con sé in tutto quello che fa.
Un attaccamento alle tradizioni, anche religiose, un attaccamento alla terra, un attaccamento a questo cerchio della vita che si consuma lentamente sotto il sole cocente di questo pezzo di suolo che rivendicano con orgoglio.
Lo rivendicano da chi vorrebbe cacciarli e annullarli perché lo stato Karen si trova in un territorio particolare, ricco di risorse naturali che fanno molto gola alle multinazionali e a potenze vicine, come la Cina, ricco di legno pregiato e adagiato in quello che è il triangolo d’oro dell’oppio e delle metanfetamine, le stesse che poi arrivano tra i nostri giovani in Europa.
I Karen non permettono questo, sono profondamente contrari al traffico illegale di droga ed è anche per questo che sono, tra tutte le etnie della Birmania, la più oppressa.
Anche per questo i loro villaggi vengono attaccati e distrutti da anni da un regime militare che vuole annientarli e farli scappare da casa loro. Scappare da casa loro.
Sono diversi infatti i campi profughi sul confine thailandese, gestiti per la maggior parte da ong occidentali, che cercano anche loro di convincere che combattere non serve e che è meglio una piccola casetta con antenna tv e magari il frigo, che possono costruirsi una vita altrove.
Le radici non sono importanti in fondo, le tradizioni sono un retaggio antico che può fare spazio al dogma del “chi me lo fa fare”.
Ma i Karen sono molto fieri e, in questi anni, grazie anche all’aiuto di alcune onlus italiane hanno costruito scuole, cliniche e nuovi villaggi per permettere a chi era è fuggito di tornare. Remigrazione. E molti sono realmente ritornati e altri lo faranno. Perché non vogliono essere rifugiati.
Lontano dalla solidarietà da salotto, alla moda e molto ben pagata, in queste strade fangose ho respirato qualcosa di diverso. Un aiuto disinteressato, nel senso vero del termine. Ma che ha il sapore della riconquista, del fascino dei pochi contro i tanti, di Davide contro Golia, di chi non ha nulla da perdere perché senza la sua terra e la sua casa avrebbe già perso tutto.
Ogni giorno ascoltiamo e leggiamo sui mezzi di informazione che i confini e le nazioni non esistono, che l’identità è un concetto vecchio e superato, che le differenze sono una balla, che in fondo è così bello poter trovare un McDonald o uno Starbucks in Birmania come a Milano.
E invece questi contadini che imbracciano un fucile ci dimostrano il contrario.
Difendono la casa dove sono nati e dove nasceranno i loro figli.
Difendono le loro differenze da chi vorrebbe un indistinto appiattimento culturale, per ridurli a consumatori uguali in tutte le latitudini.
Difendono uno stile di vita, contrario al traffico di droga e allo sfruttamento del territorio.
Un brano degli ZetaZeroAlfa dedicato proprio ai Karen, recita “la fierezza non si compra”. E stando lì te ne accorgi.
Te ne accorgi la sera, ad esempio, quando il capo di uno dei villaggi che abbiamo visitato Tatato, prende la chitarra e ti racconta in musica, con gli occhi lucidi, la storia del suo popolo.
Te ne accorgi mentre sfrecci su questo pick up che ci trasportava da un villaggio all’altro per permettere quante più visite possibile ai medici, nello sguardo fermo dei soldati che scrutano l’orizzonte.
Te ne accorgi nella cura con cui coltivano i frutti della loro terra: grano, banane, papaye, caffè.
Te ne accorgi nel sorriso gentile ma fermo che mettono in ogni piccola grande cosa che fanno, come se gli sforzi compiuti non fossero nulla in confronto all’onere e all’onore ti poter rappresentare e difendere questo lembo di fango e bambù.
Te ne accorgi nelle rughe che scavano la loro pelle indurita dalla consapevolezza che lì sono nati e lì vogliono morire.
Perché nella vita non tutto ha un prezzo e davvero, il coraggio e la fierezza non si comprano.
In questi giorni l’organizzazione umanitaria Solid onlus, sta vendendo in Trentino Alto Adige le stelle di Natale per raccogliere fondi al fine di finanziare la costruzione di un nuovo villaggio nello stato Karen, che possa ri-accogliere i profughi costretti a scappare dalla giunta militare birmana.
Le stelle di Natale Solid si possono acquistare allo spazio libero “il Baluardo”, in via Marighetto 56 a Trento, venerdì dalle 21.00 a mezzanotte e sabato dalle 15.00 alle 19.00, a “il Faro” loc. S.Nazzaro 83c a Riva del Garda, mercoledì, venerdì e domenica dalle 21.30 alle 23.45, allo spazio sociale “Rockaforte” in via Cesare Battisti VIII a Bolzano, tutti i giorni dalle 18.00 alle 22.00 e sabato tutto il giorno, alla sezione “LaMax” Oltrisarco in via Aslago22 a Bolzano, mercoledì dalle 18.00 alle 20.00 e domenica 23 dicembre dalle 17.00 alle 20.00, al Pivert store in viale Venezia 1B a Bolzano, tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00 e in piazza della Vittoria 1, sabato dalle 10.00 alle 18.00.
Filippo Castaldini