Bolzano, 8 gennaio – Dopo l’ultimo articolo di Posta Cerere su la Vedetta d’Italia
mi è stato chiesto cosa significa fare i conti in casa propria. Discorso lungo ma cercherò di essere il più sintetico possibile.
Alla fine della seconda guerra mondiale i principali attori della guerra, decisero di iniziare un processo di unificazione commerciale. L’attuale Unione Europea è quindi nata come un’istanza economica per uscire dalla crisi del conflitto. In questo divenire, attraverso diversi step che non starò qui ad elencarli tutti, le nazioni pian pianino decisero di delegare sempre più poteri economici a questa comunità, rinunciando ognuna a suo modo a determinate competenze e istituzioni. Data importante in questo processo è stata l’introduzione dell’ECU nel 1978, una valuta virtuale, scritturale, che sarebbe dovuta fungere da valuta di interscambio entro la sua zona commerciale, con un sistema di cambio regolamentato per tutte le differenti divise nazionali: marco, lira, franco, ecc. L’ECU ha subito due momenti cruciali, la trasformazione del suo strumento di valutazione dalla percentuale posseduta di un paniere europeo ad una media ponderata fissa in base a dei criteri matematici fissati dall’Ecofin nel 1989. Questo strumento di calcolo venne congelato nel 1999, quando l’ECU si trasformò in Euro con il rapporto di cambio che tutti ben conosciamo 1936,27 Lire. Quando dicono che quel valore così alto affibiato al cambio per l’Italia è stata colpa di Romano Prodi, mentono. Benché non condivida le sue scelte bisogna però ammettere che la colpa non è stata solo sua, ma di tutti quei governi che lo avevano preceduto, accettando quei strumenti di calcolo del valore dell’Euro, ma soprattutto quel processo di unificazione finanziaria ed economica senza una vera unificazione degli strumenti di controllo di quella finanza e di quella economia da parte della politica. Il bivio doveva sorgere prima, se si fa l’unione europea la si fa a partire dal sistema politico oppure non la si fa, perché se la si lascia in mano alla finanza si arriva dove siamo arrivati adesso.
Mi spiego meglio, se unifichiamo differenti sistemi economici, come erano allora la Germania, l’Italia, la Francia, Paesi Bassi, ecc, dobbiamo avere un area ottimale con minori asimmetrie possibili, quindi le curve di costo tra tutti i paesi devono essere convergenti.
Non parliamo di cose astratte con curve di costo, ma di cose reali, costo del lavoro, costo del capitale, costo e rendite sugli investimenti, ecc. Purtroppo questo non c’era, erano tutte economie divergenti.
Per cui prima di aver fatto una moneta unica si doveva fare eventualmente una modifica delle dinamiche dei costi, perché la moneta è solo uno strumento. Le riforme però, si sarebbero dovute fare all’interno dei singoli stati, facendo calare il debito pubblico e aumentando la produttività, perché solo attraverso la riduzione della spesa corrente si può abbandonare la propria moneta a favore di un’altra, dato che dal momento in cui si abbandona la propria divisa non si è più liberi di agire svalutandola.
Quindi la riduzione del debito pubblico era la prima mossa da fare se si fosse stati coscienti di cosa significava entrare nell’Euro. Purtroppo tutta la nostra classe politica di allora come quella di adesso non capisce che si vuole rilanciare l’Italia non si deve aumentare il debito pubblico con la spesa corrente, ma bisogna aumentare la competitività e la produttività. Mi dispiace dirlo ma questo governo non è discontinuo rispetto agli altri, perché continua ad agire sulle stesse leve dei governi precedenti cioè aumentando la spesa corrente (debito) e non facendo investimenti nel mondo del lavoro. Attenzione questo non significa ridurre il welfare, lungi da me ridurre tutti quei diritti che sono stati conquistati dai nostri padri, ma in una società moderna per poterli mantenere bisogna aumentare le catene del valore, cioè a parità di investimento avere maggiore valore aggiunto. In questo noi come popolo siamo bravissimi, anzi ci temono tutte le altre nazioni. Una paura non recente, ma che le altre nazioni hanno sempre avuto. Un esempio del passato per farvi capire. Quando si doveva decidere chi far entrare nell’Euro nel 1999, la Bundesbank – finanza tedesca, non voleva perché l’Italia non aveva i “conti in ordine”, ma il cancelliere tedesco di allora il socialdemocratico Gerhard Schröder, fattosi portavoce degli industriali tedeschi aveva paura del manifatturiero italiano. Se l’Italia fosse rimasta fuori avrebbe messo in crisi l’economia germanica, il mondo del lavoro italiano con una politica monetaria nazionale, avrebbe potuto mettere in crisi la locomotiva Germania. Capite adesso perché ci hanno voluto dentro l’Euro. Cosa impensabile oggigiorno penserete. No! La dimostrazione la si è avuta dopo la crisi del 2008. L’Italia è stato uno dei paese più colpiti con una delle maggiori perdite di PIL, con una delle maggiori riduzioni di reddito pro capite, ma il rilancio non è stato dato dall’austerità del governo Monti, ma dall’aumento dell’export. Questo significa che le industrie italiane sono riuscite ad adeguarsi alle catene di valore internazionale esposte al commercio mondiale e hanno vinto. Solo che non è sufficiente l’export, bisogna rilanciare anche l’economia interna e per poter far questo non si deve aumentare il debito pubblico, bisogna fare la riforma della produttività interna rimettendo in primo piano il mondo del lavoro, indipendentemente dalla valuta che si utilizza perché essa stessa è solo uno strumento. Anzi, tra una decina di anni ci ritroveremo di nuovo a parlare di moneta e di perdita del valore dell’Euro, perché anche lui verrà sostituito da altre valute virtuali o di altri aggregati maggiori (ad esempio un unica valuta asiatica). Parleremo di nuovo di perdita di sovranità, ma questa volta di sovranità europea.
Insomma il rilancio della nostra nazione deve partire dal lavoro, dal mondo del lavoro italiano che è sempre stato uno spauracchio per tutte le altre nazioni. Per questo ci vogliono deboli, vogliono comperare le nostre industrie a prezzi di saldo. Come sempre la nostra storia ci insegna tantissimo, solo che noi non riusciamo più a leggerla come si dovrebbe. Basta guardare la colonna di Traiano a Roma dove i legionari romani vengono raffigurati mentre costruiscono una strada. I Legionari romani oltre ad essere stati formidabili combattenti furono anche dei grandi lavoratori, furono loro a costruire strade, ponti, fortezze che permisero la crescita dell’impero e questo dobbiamo tornare ad essere noi: i legionari del terzo millennio.
G.L. Cerere