Trento, 5 marzo – È di ieri l’articolo de “Il Corriere” firmato Paolo Mieli che porta alla ribalta il nuovo libro di Mauro Canali e Clemente Volpini sulla sedicente grande inchiesta circa la corruzione del regime fascista.

Poco utile il tentativo di Mieli di pubblicizzare il nuovo best seller dei due amici di Rai Storia, infatti, con l’articolo-elogio molto probabilmente ha contribuito ad allontanare, almeno una larga fetta di pubblico, dalla grande inchiesta antifascista.
Mieli tenta in ogni modo di fare un grande scoop grazie ai cosiddetti ‘scandali di regime’ prendendo spunto dal Canali-Volpini, tuttavia le prove tratte dal libro sono tanto grame da non convincere nemmeno i suoi stessi lettori.
I due storici: Canali e Volpini, entrambi al soldo della rossa Rai, hanno invece riportato nel loro libro le indagini su quasi chiunque avesse avuto la tessera del PNF, praticamente 9 italiani su 10 e chissenefrega se molti di questi aderirono al fascismo per opportunismo.

La contestualizzazione storica infatti non è importante per coloro che hanno fatto della critica al fascismo la fonte del proprio reddito e quindi via con attacchi a mogli, figli e parenti di terzo grado di piccoli tesserati al partito, con il solo scopo di dimostrare quanto i fascisti, oltre ad essere brutti e cattivi fossero pure ladri.

Nessuna menzione, nell’articolo, alla situazione storica presente durante l’inchiesta: con un’Italia del ’43 divisa in due ed una commissione voluta, da chi aveva appena spodestato il fascismo, per poter recuperare in fretta e furia denaro, mezzi e immobili al fine di vincere una guerra dagli esiti ancora incerti.
Furono attuati sequestri coatti di beni appartenenti ai funzionari del regime: dal più umile segretario fino ad arrivare alla famiglia Petacci; un lungo elenco di immobili e mobili vennero requisiti, anche se già di proprietà dei suddetti da prima ancora della rivoluzione mussoliniana.
Espropri spesso culminati in violenze sulle inermi famiglie dei gerarchi ad opera della complicità dei partigiani ma tutto questo, ovviamente non viene menzionato.

Nessuna menzione nemmeno per gli sforzi attuati dal governo fascista allo scopo di arginare il fenomeno della criminalità (si ricordi il Prefetto Cesare Mori che riuscì a stroncare la mafia dal sud Italia grazie al pugno di ferro) e nemmeno per quanto riguarda i provvedimenti presi da Ettore Muti al fine di allontanare dalle cariche quei gerarchi che si macchiarono di tradimento nei confronti della rivoluzione accettando tangenti ed appoggiando il malaffare.

“La miglior forchetta del regime”, come scritto da Paolo Mieli nel suo articolo, non va ricercata negli sporadici episodi di corruzione all’interno del partito fascista, ma nei due storici Rai, che da anni si arricchiscono con documentari e libri contro il fascismo. Loro si, che sono la miglior forchetta del regime.

Aron Biasiolli

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