Bolzano, 8 marzo – È fallito il disegno della Svp di eliminare gran parte della toponomastica italiana in Alto Adige.
L’attacco alla toponomastica italiana, dopo vari tentativi pregressi, si è concretizzato nel 2012, quando il 16 dicembre il Consiglio provinciale altoatesino ha approvato una discussa Legge che avrebbe abolito gran parte dei nomi di luogo italiani. Ad approvare la proposta è stata la Svp supportata naturalmente dal Partito Democratico che ha ceduto ai voleri volksparteisti. Questo provvedimento ha introdotto l’aberrante principio dell’uso storico dei vari toponimi. Uso che avrebbe dovuto essere verificato da «un comitato composto da sei persone esperte in materia storica, geografica e cartografica, che viene nominato dalla Giunta provinciale per la durata di una legislatura».
La Legge cozza con lo Statuto di autonomia, che, nell’articolo 8, afferma che le province hanno la potestà di emanare norme legislative in materia di toponomastica «fermo restando l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano», e che, nell’articolo 101, prevede che: «Nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione».
La toponomastica italiana, quindi, per lo Statuto di autonomia è intoccabile, essendo l’unica legalizzata.
Di conseguenza, esattamente due mesi dopo, il Governo Monti ha impugnato tale provvedimento, attraverso un ricorso riccamente argomentato che ha demolito il testo della Legge voluta dalla Svp.
A questo punto la Stella Alpina ha iniziato a manovrare per evitare il pronunciamento della Corte Costituzionale, che sicuramente avrebbe fatto a pezzi la norma. Nel settembre del 2016, la Svp si è accordata con il Governo Renzi, per elaborare, all’interno della Commissione dei 6, una norma di attuazione dello Statuto che avrebbe dovuto definire nuovi criteri per limitare l’attuazione del principio del bilinguismo nella toponomastica altoatesina. Ciò col fine di eliminare ulteriori nomi di luogo in lingua italiana.
Secondo l’esponente del centrodestra, Alessandro Urzì, la lingua italiana sarebbe stata svenduta da Renzi in cambio del sì della Svp al referendum costituzionale che si sarebbe svolto da lì a un paio di mesi.
Fortunatamente tale manovra è stata bloccata dal membro della commissione dei 6, Roberto Bizzo.
A questo punto la parola sarebbe dovuta passare alla Consulta, che avrebbe dovuto decidere riguardo alla legittimità costituzionale della Legge provinciale del 2012.
Per evitare che la Corte, con la sua sentenza, mettesse la pietra tombale sulle sue pretese riguardanti la toponomastica, la Südtiroler Volkspartei si è accordata con i leghisti, suoi nuovi partner di Giunta, per abrogare la già menzionata normativa, in modo da fare cadere l’impugnativa dello Stato, per poi ripresentare un nuovo Disegno di Legge.
Purtroppo per la Svp, però, una pronuncia della Consulta in tema di nomi di luogo, c’è già stata e riguarda il caso del nuovo comune, nato nell’autunno del 2017 dalla fusione di Pozzo e Vigo di Fassa, che è stato denominato Sèn Jan, cioè unicamente in ladino. In seguito ad un ricorso, i Giudici costituzionali hanno imposto la denominazione bilingue “San Giovanni di Fassa – Sèn Jan”, ribadendo l’impraticabilità di qualsiasi superamento del bilinguismo perfetto, così come è sancito dallo Statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige.
Pur essendo un caso riguardante il Trentino, Il collegio della Corte Costituzionale ha affrontato anche la situazione altoatesina, affermando che: «L’incrocio dei due valori costituzionali – primazia della lingua italiana e tutela delle lingue minoritarie – si pone con particolare accento nell’ambito della toponomastica». «Lo Statuto speciale reca altresì disposizioni in tema di toponomastica le quali, dettando una disciplina che è profondamente influenzata dalle vicende storiche che hanno interessato la Regione nel corso della prima metà del secolo scorso, non apportano, tuttavia, alcuna deroga all’ufficialità della lingua italiana – la quale, dunque, dev’essere necessariamente adoperata anche in tale ambito – ma si limitano a imporre, nei vari casi, l’utilizzo di denominazioni anche in lingua tedesca, ladina, mochena o cimbra», che non possono quindi sostituire, ma meramente aggiungersi a quelle intoccabili in lingua italiana. Secondo la Consulta, infine, l’utilizzo di una toponomastica in solo tedesco o in solo ladino violerebbe gli artt. 5 e 6 della Costituzione, «in quanto la garanzia delle minoranze linguistiche e l’unità e indivisibilità della Repubblica ostano all’utilizzo di denominazioni toponomastiche espresse solo mediante l’uso dell’idioma locale». Questa storica sentenza dovrebbe aver messo la parola fine anche a eventuali futuri tentativi volksparteisti di attacco alla lingua italiana in Alto Adige.
Eriprando della Torre di Valsassina