Bolzano, 2 aprile  – Dopo il baratto, oggettivamente complicato, per facilitare gli scambi furono utilizzati pezzi di metalli preziosi che, avendo un loro proprio valore intrinseco, venivano scambiati con quantità di merce di pari valore.

Più tardi fu introdotto il conio, e sulle monete era indicata la quantità di metallo prezioso in esse contenuta. Il valore nominale corrispondeva quindi al valore reale. A un certo punto, ancora in epoca romana, qualche re pensò bene di mantenere inalterato il valore nominale, riducendo però la quantità di metallo prezioso contenuta nella moneta. Ad esempio, la moneta da dieci soldi, che prima conteneva venti grammi d’oro, rimase sempre da “dieci soldi”, ma con solamente dieci grammi d’oro. Nacque così il signoraggio monetario, cioè la differenza tra il costo di produzione del denaro e il suo valore nominale.

Nel medioevo, molti signorotti, invece di portare nella propria scarsella oro e argento, per maggior sicurezza, iniziarono a depositarlo presso gli orefici, che rilasciavano loro delle “fedi di deposito”, attestanti la quantità di metallo prezioso depositata. Queste “fedi di deposito” erano dei titoli di proprietà al portatore di quanto depositato, e furono utilizzati anche per la compravendita al posto dei metalli e delle monete. In ogni momento chi aveva in mano queste “fedi” poteva andare dall’orefice e farsi ridare l’oro depositato.

Gli orefici, videro che solamente il 10% dell’oro che avevano in deposito veniva ritirato, quindi iniziarono a prestare delle “note di banco” (le banconote) per un valore dieci volte superiore all’oro che avevano in custodia. Tali “note di banco” non erano titoli di proprietà, ma titoli di credito, su cui l’orefice indicava il proprio impegno a convertirle in oro per il valore nominale indicato. Nacque così il sistema che oggi viene chiamato della “riserva frazionaria”. Dopodiché, anche gli Stati emisero cartamoneta recante la promessa di essere convertita in oro a richiesta.

Nel 1694, ci fu il “salto di qualità”. A un’Inghilterra dissanguata dalle tasse, imposte per finanziare la guerra contro la Francia, il banchiere William Paterson offrì a re Guglielmo III un prestito a interesse di un milione e duecentomila sterline. Così si ribaltò la frittata: lo Stato aveva immediatamente il denaro, e solo in un secondo momento avrebbe pensato a tartassare i cittadini per pagare interessi e capitale. Paterson fu, inoltre, autorizzato ad emettere e a far circolare banconote per un valore pari al prestito concesso al re, senza avere in giacenza più di due o trecentomila sterline. In verità le sterline d’oro che Paterson aveva di riserva, a copertura del milione e settecentocinquantamila sterline stampate, erano solo trentaseimila.
William Paterson sintetizzò l’operazione così: “La banca trae beneficio dall’interesse che pretende su tutta la moneta che crea dal nulla”.

Nel 1914, il Governo inglese abolì la convertibilità in oro della sterlina e nel 1944, a Bretton Woods, fu deciso il nuovo assetto monetario mondiale, che vide il dollaro quale unica moneta ad avere ancora una copertura aurea, mentre gli altri Paesi dovettero avere la copertura in dollari. Il dollaro divenne, quindi, moneta di riserva mondiale.
Gli USA, però, stamparono dollari per un valore otto volte superiore a quello dell’oro posseduto e ciò provocò la reazione della Francia, che minacciò di farsi convertire in oro tutti i dollari posseduti.

Fu così che, nel 1971, Nixon annunciò l’abbandono della convertibilità in oro del dollaro, che da allora divenne null’altro che carta colorata.
Molti pensarono che la moneta statunitense avrebbe perso qualsiasi valore, ma non fu così. Ciò dimostra che il valore delle monete non è dato dalla copertura o convertibilità, ma dal fatto che vengono domandate e accettate come mezzi di pagamento.
In effetti, una sorta di “assicurazione” il dollaro la ottenne: infatti, i principali Paesi produttori di petrolio decisero che tutte le transazioni petrolifere sarebbero avvenute in dollari.
Da allora gli Usa riescono a comprare risorse nel mondo (materie prime, lavoro, industrie e finanziano le proprie forze armate per le loro guerre “umanitarie”) con semplice carta stampata dal costo nullo.

Come semplice cartaccia è l’euro.
La Banca d’Italia però stampava ancora moneta ed era dipendente dal Ministero del Tesoro. Tesoro che stabiliva il tasso di interesse da pagare sul debito che emetteva. I titoli invenduti venivano acquistati dalla Banca centrale. In questo modo il debito rimaneva nelle mani italiane e per la quota riacquistata dalla Banca d’Italia, lo Stato si indebitava con se stesso.

Nel 1981, con Beniamino Andreatta Ministro del Tesoro, avvenne il cosiddetto divorzio tra Stato e Banca d’Italia. Da quel momento i titoli del debito sovrano rimasti invenduti vennero messi sul mercato, facendo così impennare i tassi di interesse. Grazie a ciò il debito italiano passò dal 48% del Pil del 1981 al 121 % del 1994. Dopo di che Bankitalia fu trasformata in un soggetto privato.

Un’altra botta arrivò col Trattato di Maastricht e con l’euro. Infatti, da allora la politica monetaria e l’emissione di moneta è di esclusiva competenza della Bce, che agisce in maniera assolutamente autonoma e indipendente dalla politica, cioè dalla volontà popolare.

L’Unione europea ci ha poi imposto il vincolo del 3%, rispetto al Pil, sul deficit e quello del 60% sul debito. In seguito, il Parlamento, praticamente all’unanimità, compresi quindi i sedicenti sovranisti, ha inserito nella Costituzione il pareggio di bilancio, dandoci così la mazzata finale.
L’art. 1 della Costituzione italiana, al suo secondo comma, recita che: “La sovranità appartiene al popolo”. Questo dovrebbe valere anche per la sovranità monetaria. Invece, la Bce emette l’euro a costo zero e lo presta alle banche per il suo valore nominale, facendosi pagare gli interessi. Interessi che sono irrisori rispetto a quelli che poi le stesse banche impongono allo Stato nelle aste dove viene emesso e acquistato il nuovo debito pubblico.

Il Tesoro, quindi, per i propri bisogni monetari, emette Btp (o altri titoli) che vengono acquistati sul mercato primario da vari soggetti (banche, fondi d’investimento, risparmiatori ecc.) e dove viene stabilito il tasso di interesse. Dopo di che i titoli vengono scambiati sul mercato secondario. È qui che la Bce interviene, se vuole, assieme a tutti gli altri soggetti, speculatori compresi, ed è qui che viene stabilito lo spread, che quindi incide indirettamente solo sui tassi dei titoli che saranno emessi in futuro.

La Bce, oltre a guadagnare sul nulla e ottenere interessi da questi guadagni, non paga tasse su tali profitti. Addirittura, mette al passivo il valore delle banconote circolanti. Infatti, emette denaro appostato come debito, trasferisce alle banche centrali questo inesistente debito che, a loro volta, lo distribuiscono alle loro partecipate (tutte banche private) che lo utilizzano per ridurre gli utili e pagare ancora meno tasse.

Oltre a questo signoraggio, scaturito dall’emissione di denaro prodotto dal nulla, esiste un altro tipo di signoraggio: il signoraggio creditizio o secondario, cioè quello delle banche.
Infatti, tutte le banche creano potere d’acquisto, cioè denaro virtuale, (assegni, lettere di credito), con i soldi che depositiamo nei conti correnti e che utilizzano come fossero loro. Ciò grazie alla cosiddetta “riserva obbligatoria o frazionaria”. Oggi questa riserva obbligatoria è circa del 2%. Cioè, se depositiamo nel conto corrente 10.000 euro, la banca ne può prestare 9.800 (denaro non suo). Ma non finisce qui, perché questi 9.800 euro possono essere depositati in altri conti e quindi la banca ne potrà prestare 9.604, e così via per innumerevoli volte, guadagnando enormemente con i nostri soldi.
Il sistema bancario, con il signoraggio e gli interessi sul credito, sottrae all’Italia circa 700 miliardi di euro l’anno. Miliardi che nella stragrande maggioranza dei casi sono reinvestiti in settori speculativi.

Eriprando della Torre di Valsassina

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