Bolzano, 9 maggio – Da tre settimane circa sono iniziati i lavori per il rifacimento dello Stadio Druso. Tali lavori servono per adattare lo stadio alle partite di calcio per il campionato di serie B. In sintesi i lavori prevedono, l’eliminazione della pista di atletica, la costruzione delle due gradinate sul lato corto del campo ed in un secondo momento la realizzazione di un parcheggio interrato antistante la facciata storica dello stadio. In tutti questi anni ci sono stati i pro e i contrari a tali lavori, soprattutto a causa dell’eliminazione della pista di atletica. Cerchiamo di capire il contesto di entrambe le posizioni. Lo stadio Druso venne costruito durante il Ventennio Fascista come luogo di aggregazione per il tempo libero. Difatti venne costruito in prossimità del centro cittadino proprio per indicarne la centralità della struttura. Fungeva da struttura polifunzionale per tutte le società sportive bolzanine di atletica, per la principale società calcistica del capoluogo e per molte altre finalità sportive e ludiche. Una struttura polisportiva che faceva da aggregante per i bolzanini. Molti di noi si sono allenati in questo stadio facendo anche sport differenti. Il trait d’union era la pratica dello sport e la condivisione del sacrificio e della fatica. Chi è bolzanino non si può non ricordare i Giochi della Gioventù, un appuntamento scolastico annuale durato decenni. Un giorno in cui tutte le scuole si riunivano con i propri insegnanti per una serie di gare di atletica che permettevano di dare il pass ai Giochi della Giventù Nazionali. Ma poi altri classici appuntamenti, il derby di calcio quando era possibile del Bolzano col Trento o col Passirio, la gara podistica di Vivicittà, i meeting di atletica, le prime partite di Football Americano dei Jets, ecc. Insomma non c’era una divisione netta tra calcio e tutto gli altri sport. Questa divisione si è iniziata a creare, quando la solita SVP, in antagonismo con la popolazione bolzanina, ha inventato dal nulla a suon di soldoni una squadra di calcio dal nome esportabile in tutta Italia come bandiera da piantare su questa terra: il Südtirol. Una squadra di calcio inventata alla periferia di Milland che doveva servire a far conoscere tale nome inventato in tutta Italia. Dopo la rapida ascesa nelle diverse categorie provinciali giocate sul campo di Bressanone, per rendere appetibile al grande pubblico tale squadra, era d’obbligo il trasferimento nel capoluogo di provincia.

Così è stato, costando così a diverse società storiche bolzanine la scomparsa nei massimi campionati provinciali, ma soprattutto nei settori giovanili. Perché non bisogna mai dimenticarsi che lo sport deve essere l’abc del tempo libero per ogni bambino e ragazzo, mens sana in corpore sano. Dal momento del trasferimento delle partite casalinghe del Südtirol da Bressanone a Bolzano sono iniziati i problemi contestualmente all’ascesa nei diversi campionati nazionali. Gli investimenti fatti dalla provincia a favore di questa società sono impressionanti, basti guardare il nuovo centro di allenamento di Appiano s.s.d.V.. Mi sembra ovvio e lapalissiano che adesso si debba procedere alla creazione di uno stadio idoneo alla serie cadetta. Il punto sta proprio qui. Si passa da uno stadio che era destinato alla pratica dello sport ad uno stadio destinato solo alla fruizione di eventi sportivi, con tutto quello che ne consegue. Non più uno stadio per atleti praticanti, ma uno stadio solo per pubblico pagante al pensiero unico.

Anche il politico meno preparato sa che una struttura destinata ad eventi, soprattutto se sportivi, necessità di tre caratteristiche importanti: facilità di raggiungimento del luogo, struttura gradevole e sicura e soprattutto commercialmente appetibile. Ecco il nuovo stadio Druso dopo tali lavori, che ci costeranno milioni di euro in tasse, non avrà nemmeno una delle tre sopracitate caratteristiche. Rimane sempre in un luogo difficilmente accessibile. Immaginate voi cosa significa in termini di traffico ed inquinamento per le zone adiacenti. Già adesso tra via Druso, col dimezzamento delle corsie e le strozzature di ponte Roma e ponte Druso è un ingorgo unico e perenne, figuriamoci con il nuovo stadio. Che lo stadio diventi gradevole e sicuro, lo valuteranno i residenti della zona quando arriveranno i primi veri tifosi organizzati con tutto il loro bel repertorio di trofei. Insomma quando le principali società mondiali del calcio cercano di fare le nuove strutture ad uso e consumo del pubblico belante e pagante nelle periferie delle città, Bolzano con mamma SVP fa l’opposto. Mi sembra normale che poi uno si domandi il perché? Dato che non sussiste una sola ragione economica evidente, si tratta ancora una volta di una visione politica; come è stata una visione politica creare la squadra del Südtirol. 

A me sembra conclamata la deitalianizzazione di Bolzano, un processo sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuol vedere. Con la demolizione dei quartieri storici, con il mancato cambio del nome di Piazza della Vittoria, con lo snaturamento della zona industriale, con la massiccia edificazione delle periferie con edifici dormitorio per accogliere la nuova manovalanza dal terzo mondo, ecc, è normale che Bolzano perda la sua identità e centralità storica di capoluogo di una provincia d’Italia. La decennale mancata centralità della città di Bolzano, mai rivendicata da tutti i sindaci che si sono succeduti dal dopoguerra ad oggi ha portato a questo.

Per chi ha memoria storica, ricordo anche, l’ostracismo di Alfons Benedikter (per molti anni assessore all’urbanistica) durante gli anni settanta per la costruzione di case per gli italiani quando c’era il boom delle nascite, case mai costruite, giustappunto. Insomma io vedo una continuità di una visione politica a sfavore di alcuni e a favore di altri. Può essere che mi sbaglio, ma solo il futuro ci potrà dire cosa accadrà. Credo comunque che il prossimo passo a lavori ultimati, o di li a qualche anno, sarà quello di cambiare nome allo stadio, e io sarò uno di quelli che lo scrive adesso in momenti non sospetti, il nome Druso è troppo italiano.

G.L. Cerere

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