Essere comunità è l’unica ancora di salvezza per gli Italiani ai tempi del coronavirus.

Nel XXI secolo, nell’epoca del digitale e della globalizzazione, dove regnano la fugacità delle immagini e il suono vacuo dei significanti, il nostro mondo ci sottopone a crisi, come la pandemia del coronavirus, che fanno capire quanto è doveroso riscoprire la fissità dei legami, e dei significati, e la profondità dell’essere e del fare alla superficialità dell’apparire e del parlare.

Il concetto di comunità, è vittima di incomprensioni che ne fanno perdere l’identità: finisce per essere associata ai fenomeni di costume, alle semplici compagnie di amici, a semplici gruppetti che vivono sotto lo stesso tetto, abbassandosi così a un semplice gioco di smorfie e di atteggiamenti. Abbiamo visto infatti come poco prima dello scoppio dell’epidemia in Italia i nostri politici facessero a gara a chi più si dimostrava amichevole alle ‘comunità’ cinesi del nostro paese.
Per sentirsi, ed appartenere, a una comunità militante invece servono caratteristiche più forti, tali da creare un’identità, una storia comune, ideali condivisi.
La nostra comunità sono le mura che abbiamo alzato, fisiche o ideali, per proteggerci dal deserto ideologico che ci circonda.

L’uomo comunitario lo si può definire un ribelle: perché dona se stesso senza chiedere niente in cambio, perché preferisce la continua lotta piuttosto della rassegnazione, perché sceglie liberamente di seguire regole e gerarchie, perché si da una forma e cerca di raggiungere ad un ordine, perché fa crescere dei legami, perché sente di appartenere a qualcosa ed è pronto a difenderla.
Il membro di una comunità militante non si piegherebbe mai a starnazzare dai balconi in stupidi flash mob, ma dedicherebbe il tempo della quarantena allo studio e al rinnovamento, fisico o spirituale.
In questo concetto scopriamo un senso di appartenenza che avviene tramite l’identificazione: accettiamo e condividiamo i valori e la cultura del gruppo nel quale viviamo e questo porta ad avvertire un senso del “Noi” e a sentirsi legati indissolubilmente, anche senza una particolare affezione, a tutti gli altri. La comunità quindi non è solo un modo per stare insieme, proprio come la Falange delle poleis greche non è stata solo un modo di combattere, ma è la manifestazione di un qualcosa che va oltre al singolo individuo che la compone, perché è connessa a un terzo elemento, che risulta essere il fuoco interiore che i suoi membri sono chiamati a custodire e a trasmettere.
In pratica l’uomo comunitario ad oggi incarna tutto quello che il “pensiero unico” globale vorrebbe bandire ed eliminare.

La comunità non è soltanto quella delle nostre idee, ma anche quella del nostro popolo, e questo piaccia o meno ai cultori della globalizzazione, possiede anche una propria identità etnica.
Affermare questa verità, che è perfettamente naturale, per il pensiero unico è diventato pericoloso.
Non dobbiamo dimenticare che la storia non la fanno le buone intenzioni, ma i popoli e le stirpi e non è un caso che sui balconi di migliaia di case, proprio in questo periodo di crisi, siano spuntati i tricolori che tutti gli Italiani uniscono.
Un approccio identitario non implica la discriminazione verso l’altro, ma anzi ci definisce rispetto a qualcosa che è diverso da noi
Attraverso essa è quindi necessario riportare alla luce la parola Patria, il concetto di confini tanto spesso bistrattato dai personaggi alla Fabio Fazio. Il concetto di Limes caro alle antiche civiltà, non diventa più solo un opzione culturale, ma un’ancora di salvataggio per la nostra sopravvivenza.
Ad oggi solo la riscoperta dei valori dell’essere comunità può risvegliare il genio Italico dormiente.
Nel “Trattato del Ribelle” Ernst Junger scrisse:
“Tra il grigio delle pecore si celano i lupi.
Vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato cos’è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco.
E’ questo l’incubo dei potenti.”
Sta alla Comunità generare quei lupi che potrebbero far tremare i nemici d’Italia.

Nicolò Banterla

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