La rubrica di PostaCerere 

In questo periodo si sente parlare ogni 5 minuti di crisi economica, ma sappiamo veramente di cosa si tratta? Perché se non si capisce bene di che tipo di crisi si tratta, si rischia di fare dei scivoloni argomentativi catastrofici. Partiamo dall’inizio, questa è la prima crisi economica della società dei consumi che non è dovuta al ciclo produttivo ma da un fattore esterno, cioè la pandemia. Tutte le altre crisi economiche precedenti erano crisi di sistema dovute ai più diversi fattori. Per esempio la crisi del 1998 nei paesi del sud est asiatico era dovuta a speculazioni finanziarie che portarono diverse divise nazionali allo sganciamento dal dollaro; la crisi del 2008 è dovuta al crollo dei mutui subprime, ecc, insomma in un modo o nell’altro la finanza o l’economia del mercato trovavano degli “imprevisti” che facevano contrarre il ciclo espansivo. Cosa vuol dire? La società dei consumi è incentrata sempre sull’espansione del mercato o dei consumi, quindi tutto il processo deve avere una velocità di crescita costante che chiamiamo k. Il valore aggiunto che si crea viene generato in questo caso dalla differenza dal valore del mercato meno i costi di produzione entrambe moltiplicate per la variabile. Quindi questo classico sistema produttivo lineare trova i suoi limiti nelle crisi dovute alla differente velocità che si viene a creare tra la produzione e il consumo. Questo è un sunto massimalista, in realtà ci stanno molte altre variali che per ragioni di sintesi tralascio. Questo però mi serve per far capire successivamente quale è la differenza tra economia lineare e quella circolare. Quindi questa crisi economica ha delle ragioni endogene e per questo è ancora più infida e difficile da affrontare con i classici strumenti economici messi a disposizione dal sistema economico, ad esempio l’immissione di liquidità. Vi faccio un esempio reale preso dalla quotidianità, su cosa ha significato questo periodo del lockdown. Tutti, più o meno si sono ritrovati confinati in casa e ad un certo punto quando hanno aperto gli armadi si sono resi conto che possedevano una quantità di vestiti sufficiente a tre reincarnazioni. Da qui la nuova percezione dell’eccesso e la conseguenza di non fare più acquisti. Questo ha significato per tutta la catena di produzione, distribuzione e vendita dell’abbigliamento una contrazione del mercato incredibile. Anche se si immettesse liquidità, per l’abbigliamento la crisi continuerà a perdurare perché è cambiata la percezione del consumo. Quindi per la prima volta la società dei consumi nella quale stiamo vivendo si trova difronte a problemi che non sono più ascrivibili esclusivamente a ragioni del sistema economico. Con questo non voglio dire che il sistema economico basato sui consumi sia al collasso o sia sbagliato, dico semplicemente che il paradigma sociale è cambiato a causa della pandemia. Che la società dei consumi sia la peggiore società non posso dirlo, perché guardando i puri numeri mi si potrebbe contraddire subito dicendo che al momento è l’unica società che ha permesso fino adesso di allungare la speranza di vita e ha permesso all’umanità di raggiungere quasi gli 8 miliardi di esseri umani. I costi però non vengono mai esaltati quando si snocciolano le cifre, perché non vengono mai calcolati o raccolti in modo organico. Insomma le contraddizioni della società dei consumi non possono altrettanto essere così facilmente negate. Allora che fare? Da qui si possono trarre due considerazioni, abbandonare la società dei consumi come processo lineare oppure ricalibrala cambiando semplicemente obiettivi mantenendone la linearità processuale? Credo che la soluzione stia proprio davanti agli occhi di tutti quelli che hanno sempre capito che il modello espansivo per sua natura sia sbagliato, perché presupponeva un’infinita disponibilità di materie prime e che i costi ambientali non dovevano essere monetizzati. La società dei consumi non è completamente sbagliata deve semplicemente passare ad una economia circolare, dove il valore aggiunto non viene più calcolato come ho scritto prima dal valore del mercato meno i costi di produzione, ma bensì da delle variabili esterne che devono essere valorizzate per il suo aspetto etico e morale. Tornando all’argomento precedente sulla catena di produzione dell’abbigliamento, il valore aggiunto che porta al ribasso del prezzo del prodotto, devalorizza lo stesso prodotto per cui la rilevanza personale si quantifica nell’indifferenza sul possesso. Se invece la stessa merce magari venisse prodotta con un risparmio di acqua, utilizzo di materie riciclate, manodopera tutelata, ecc, il costo sarebbe indubbiamente maggiore, ma il valore aggiunto in questo caso non sta nel prezzo ma nell’aspetto etico e moraleMolti potrebbero pensare che questo sia un discorso comunista… tutt’altro! il comunismo presupponeva la pianificazione dei consumi mentre qui invece si parla della terza via, ci siamo capiti! Quella via che ancora oggi ha ragione di esistere come idea alternativa al globalismo neoliberista e immigrazionista senza regole e senza morale. Insomma la rinascita di un paese può nascere anche dai momenti di crisi come questi, basta semplicemente agire in maniera nonconforme, e noi italiani siamo sempre stati nel passato all’avanguardia in questo. La nostra creatività, il nostro ingegno ci hanno sempre aiutati in questo e su questo dobbiamo puntare se vogliamo rilanciare l’economia nazionale. C’è da dire che il lavaggio dei cervelli portato avanti dai modelli consumistici fino ad oggi si è molto radicalizzato soprattutto nel mainstream mondiale in mano a György Schwartz detto Soros e i suoi compagni di merenda, non a caso tutti speculatori finanziari. Concludo dicendo che io non ho ricette facili, digeribili e soprattutto indolore, semplicemente come già disse Tito Lucrezio Caro “Come i bambini al buio tremano e temon di tutto, così noi alla luce talvolta temiamo di cose che non son più tremende di quelle che temono i bimbi al buio e pensano che accadranno loro.”

G.L.Cerere

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