L’editoriale del direttore Adriano Scianca sul Ddl Zan nel numero di maggio de il Primato Nazionale 

he anno fa, in seguito a un’ondata molto mediatica di presunti attacchi «omofobi», soprattutto nella capitale, con corollario di accuse sempre più  pressanti verso l’«estrema destra romana», CasaPound decise di sovvertire le regole del teatrino compiendo un gesto politico molto forte: aprire le porte della sua sede nazionale per un confronto franco e aperto con la comunità omosessuale.

Cpi stilò anche un documento, letto di fronte a Paola Concia, all’epoca parlamentare del Pd, a Ivan Scalfarotto e a qualche decina di attivisti Lgbt, in cui se da un lato si riconosceva il dato di fatto dell’esistenza di coppie omosessuali e se ne chiedeva persino un riconoscimento giuridico, dall’altro si affermava tuttavia la contrarietà all’adozione dei bambini da parte loro, a qualsiasi tipo di reato d’opinione e, nell’ambito di un discorso sull’intolleranza in tutte le sue forme, si ribadiva la condanna senza appello dell’antifascismo.

La mossa spiazzò tutti, «amici» e «nemici», e fu un successo comunicativo indiscutibile. Non si trattò, tuttavia, di un mero espediente situazionista, ma di un vero atto politico capace di richiamare tutti i fronti coinvolti a uno spietato esame di onestà intellettuale: la destra, radicale e non, veniva messa di fronte al suo moralismo impolitico, alle false piste incapacitanti, allo sviamento delle sue radici avanguardistiche e modernizzatrici arenatesi nelle secche del bigottismo reazionario, ma allo stesso tempo le si mostrava che si poteva dialogare con l’altro senza assumerne le idee, le posture, i simboli.

Alla sinistra e al mondo gay veniva tolto l’alibi vittimistico e li si portava nel campo aperto della politica, lontano dalla comfort zone del piagnisteo sovvenzionato.

Perché parliamo oggi di tutto questo? Perché è un po’ sconfortante ripensare a quell’episodio e osservare oggi le crepe che si aprono nel centrodestra sul ddl Zan, il progetto di legge «contro l’omofobia» che nel migliore dei casi risulterà pleonastico, nel peggiore introdurrà nuovi reati d’opinione.

Nelle scorse settimane abbiamo visto Alessandra Mussolini – la cui unica presa di posizione sull’argomento era stata, fino a quel momento, un «meglio fascista che frocio» urlato anni fa in faccia a Vladimir Luxuria – partecipare al contest pro ddl Zan su Instagram. Qualche giorno prima, Luca Zaia aveva detto alla stampa che «le libertà devono essere garantite a tutti», lasciando intendere che questo fosse per lui lo spirito del progetto di legge, pur precisando di «non aver seguito fino in fondo il dibattito».

Ora, quello che colpisce in prese di posizione di questo tipo è la faciloneria. Non c’è alcun profondo percorso di revisione ideologica, solo il docile farsi plasmare dallo spirito del tempo. Si apre al ddl Zan come si potrebbe andare in televisione e raccontare una barzelletta sui gay, indifferentemente. Tutto viene così, in modo estemporaneo e non meditato, senza il minimo sforzo per una coerenza di fondo. Urge come non mai una cultura politica alternativa, radicata, radicale, concreta.

Adriano Scianca – il Primato Nazionale 

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