Questa è la storia completa di quello che è successo a Maurizio Puglisi Ghizzi, la quale lo ha portato a fare un estenuante braccio di ferro con il sistema sanitario provinciale altoatesino. Si tratta di una lunga e dettagliata intervista, nella quale Maurizio mi ha raccontato tutta la sua peripezia, di cui mi scuso sin da desso se sarò sintetico e conciso e se tralascerò alcune parti.

Il tutto è iniziato in Germania nel lontano 9 settembre 2018. Sembrava una serata normale come tutte le altre, cena in un ristorantino con la moglie e rientro in stanza, perché la moglie non si sentiva troppo bene. Improvvisamente la situazione degenera la moglie si sente male, per cui ambulanza con medico e infermieri e trasferimento immediato nell’ospedale di Erfurt. Dopo i diversi accertamenti e degli antidolorifici la situazione in ospedale sembra migliorare. I dolori sembrano passare, allora in accordo coi medici viene dimessa e rientrano in stanza. Data la situazione decidono di rientrare anticipatamente in Italia, per cui il giorno dopo di prima mattina si mettono in viaggio. Durante il tragitto di ritorno Maurizio si accorge che qualcosa non va, ma pensava alle controindicazioni dei medicinali che gli avevano somministrato. Una serie di momenti up e down molto strani. Di colpo all’improvviso la moglie di Maurizio crolla. Lui allora improvvisamente cerca il primo ospedale nelle vicinanze e si dirige subito al Klinikum di Ingolstadt. Un ospedale all’avanguardia, completo di tutto persino di un proprio inceneritore per i rifiuti speciali, per capirci un ospedale da 140.000 degenze all’anno. Il medico del pronto soccorso si accorge subito che si tratta di un aneurisma cerebrale, quindi nel giro di pochi minuti col neurologo viene portata in sala operatoria per bloccare chirurgicamente l’emorragia. Gli anticipano che questa operazione serve solo per bloccare l’emorragia, il giorno dopo dovrà subire un ulteriore intervento al mattino per stabilizzare il riversamento. Quindi il giorno seguente di prima mattina in ospedale si presenta un cancellerie per far firmare la procura terapica per le scelte del paziente, dato che non può autonomamente decidere. Subito dopo avviene il primo incontro col primario per stabilire quale intervento fare. Infermieri, medici e dottori tutti molto gentili e preparati operano per 10 ore. Adesso alla moglie Alessandra gli aspettano 14 giorni di terapia intensiva, per poi iniziare il percorso di riabilitazione. Purtroppo al 14 giorno altri spasmi costringono i medici ad intervenire nuovamente chirurgicamente. Altri 14 giorni di terapia intensiva, il cui decorso questa volta è regolare, per cui bisogna iniziare la riabilitazione in Italia. Trasferimento a Bolzano nell’attesa che si liberi un posto nel reparto di neurologia a Vipiteno. Gestito dal primario Saltuari, il reparto di neurologia di Vipiteno è considerato uno dei migliori in Europa, peccato che il biglietto da visita che si presenta agli occhi di Maurizio all’ingresso è la scritta: “PER FAVORE NON CHIUDETECI”. Si perché come sempre la politica altoatesina targata SVP, basando le proprie scelte in ambito sanitario solo sui numeri, ha tutta l’intenzione di chiudere reparti in tutte le sedi ospedaliere periferiche, e questo non riguarda solo i punti nascita, ma tutti i reparti. A novembre 2018 allora viene trasferita la moglie di Maurizio nel nosocomio di Vipiteno all’avanguardia nella riabilitazione. Nel giro di un mese inizia nuovamente a camminare e mangiare autonomamente e a parlare. Il tutto fa sperare al meglio. Siccome proprio per i tagli lineari alla sanità provinciale, determinati controlli non possono essere fatti a Vipiteno per carenza di macchinari, Alessandra viene trasferita nuovamente a Bolzano per dei controlli clinici. I neurochirurghi dell’ospedale di Bolzano decidono di tenerla in osservazione per ulteriori controlli, dato che riscontrano un infiammazione batterica. Il 13 dicembre 2018 nella notte Alessandra si aggrava e i neurochirurghi di Bolzano sono costretti ad operare d’urgenza nuovamente perché il liquido cerebrale non circolava correttamente. Dopo tale pesante intervento Alessandra rimane ricoverata fino a fine febbraio 2019 all’ospedale di Bolzano, per poi essere nuovamente trasferita a Vipiteno per la riabilitazione. Per capirci e per capire la successiva odissea burocratica, un percorso clinico di una emorragia cerebrale nei manuali universitari di medicina viene suddiviso in 4 step; il primo è l’ospedalizzazione il secondo è la riabilitazione intensiva, il terzo la riabilitazione secondaria e il quarto è il bivio, cioè o di dimette il paziente in caso di esito positivo oppure si trasferisce in un centro lungodegenti perché il paziente risulterà essere “permanentemente” non completamente autosufficiente. Quindi il trasferimento a Vipiteno è proprio per attuare la fase 2 e 3 del protocollo clinico di cura. Arrivata a Vipiteno, i medici si rendono subito conto che la situazione che hanno difronte non è più quella della prima volta. Il percorso riabilitativo è tutto in salita, anche perché questa volta a Bolzano si manifestavano delle crisi epilettiche che nella prima fase riabilitativa non c’erano, tutto si era maggiormente complicato. Iniziando il percorso da marzo, a giugno l’ospedale di Vipiteno era riuscito a rendere nuovamente Alessandra clinicamente parzialmente autonoma. Cosa vuol dire, Alessandra, con l’aiuto della PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea) si nutre, quindi non necessita di macchinari salvavita, però è in uno stato di coma vigile. Quindi per la legge italiana in questo caso la paziente deve essere trasferita in un centro lungodegenti altamente ospedalizzato; non un centro lungodegenti qualsiasi. Questa differenza è importantissima perché la scelta in questo caso si riduce a sole due possibilità, una a Lana e l’altra a Bolzano. Allora Alessandra viene trasferita al centro lungodegenti nel reparto 5 del Firmian di Bolzano. Da qui finisce la vicenda clinica di Alessandra per iniziare l’odissea assurda di Maurizio contro il sistema sanitario della nostra provincia. Al Firmian la prima cosa che ti fanno fare è firmare un contratto con relativo R.I.D. (Rapporto Interbancario Diretto) e pagare un acconto a titolo di caparra e di prima rata di 1.570 € per il cosiddetto servizio alberghiero che garantisce la struttura. In tale occasione viene detto a Maurizio che poi con tutta la documentazione si può rivolgere agli uffici provinciali preposti alla tariffazione per calcolare l’effettiva parte di quota alberghiera da pagare. Maurizio fiducioso di queste parole allora si rivolge agli uffici competenti i quali inserendo tutti i dati arrivano alla conclusione e a dirgli che la sua quota da pagare è effettivamente di 1570 € al mese. Maurizio rimane basito da queste parole, ma soprattutto incredulo che il sistema sanitario si facesse pagare quando per la costituzione italiana, fino a prova contraria la sanità è gratuita. Si perché bisogna distinguere gli ospiti dei centri di lungodegenza. Ci sono persone che necessitano di ospedalizzazione prolungata che si possono definire pazienti ospedalieri (anche se in ospedale non sono) oppure gli anziano che usufruiscono dei servizi come se fossero in una casa di riposo, nella quale giustamente è dovuta una retta alberghiera. La distinzione è da rimarcare perché le competenze politiche sono differenti, i “pazienti ospedalizzati” rientrano all’assessorato alla sanità di Thomas Widmann, gli anziani rientrano invece nell’assessorato al sociale della Waltraud Deeg. Due attività parallele che lavorano sotto un unico tetto, ma questo non significa che comunque a tutti debbano essere imposte le stesse tariffe solo perché stanno in unica struttura fisica. Forte dell’aiuto della cognata, Maurizio si informa per capire quali fossero gli elementi dissonanti e distorsivi che hanno permesso questo grave errore nella gestione amministrativa. Quindi ricapitoliamo tutti quelli che venivano ricoverati in un casa di risposo o centro lungodegenti (chiamatelo come meglio credete) dovevano pagare una retta composta da una quota che veniva rimborsata automaticamente come assegno di accompagnamento alla struttura e poi la quota alberghiera in base al reddito, senza distinzione delle motivazione per le quali uno veniva ricoverato. Insomma questa incongruenza porta Maurizio a fare il giro di tutti gli uffici provinciali sia della sanità che del sociale, che inevitabilmente lo rimandano ogni volta ad un livello superiore, fino ad arrivare al massimo dei livelli cioè ai due assessori competenti, quello della sanità e quello del sociale. Più si saliva nei vertici di competenza più questo problema sembrava essere conosciuto, insomma nessuno cadeva dalle nuvole e tutti rimbalzano la competenza ad altri, chi a torto e chi a ragione. In tutto questo giro di uffici provinciali si arriva a fine agosto 2019 e qui iniziano i primi contatti con l’avvocato Eritale per alcuni chiarimenti. Nel frattempo Maurizio riesce a prendere appuntamento con l’assessora al sociale Deeg, la quale in modo sintetico dice che questa è la legge provinciale e che se non è d’accordo di fare causa all’amministrazione provinciale. Maurizio rimane stupito dell’atteggiamento dell’assessora e per tale ragione parte con una serie di iniziative pubbliche a favore dei media e dell’opinione pubblica per sensibilizzare il problema a livello provinciale. Si perché se fino a quel momento la problematica sembrava essere una semplice stortura, dopo l’incontro con l’assessora il tutto assumeva un valore politico preciso. Non si trattava più di semplice problema interpretativo, ma di una volontà politica nel voler far rimarcare l’autonomia della sanità provinciale da quella nazionale. Si perché a livello nazionale, quindi in tutta Italia ad eccezione della provincia autonoma di Bolzano tutti i pazienti che si trovavano nella situazione di Alessandra o in simili stati di lungodegenza non pagavano, perché rientravano come pazienti del sistema sanitario nazionale. Era solo la nostra stupenda provincia autonoma che faceva pagare la retta alberghiera ai lungodegenti ospedalizzati. Nel frattempo Maurizio decide assieme agli avvocati Eritale e Fava di andare in giudizio perché ci sono tutti i presupposti per una vittoria senza se e senza ma. Inoltre a seguito della eventuale sentenza ci sarebbero a cascata tutta una serie di ricorsi di tutti i parenti dei pazienti che fino adesso hanno ingiustamente pagato. Per cui si tratta di una causa pilota dai risvolti economici dei più peggiori per la provincia autonoma di Bolzano, anche perché ci sarebbe stato il rischio che la Corte dei Conti a seguito di una tale sentenza o delibera di risarcimento potesse condannare la provincia stessa per danno erariale, quindi si andrebbero a cercare anche le responsabilità personali all’interno della pubblica amministrazione, e questa è la cosa che temono di più in assoluto tutti i politici e i funzionari. Arriviamo a gennaio 2020 dove iniziano le prime corrispondenze tra gli avvocati di Maurizio, Eritale e Fava, e l’assessorato alla sanità. Insomma la luce in fondo al tunnel sembrava intravedersi. Stabiliscono un incontro a marzo 2020 in pieno lockdown tutti consci del fatto che se la causa fosse andata a giudizio l’amministrazione provinciale avrebbe perso di netto. Allora garantirono che d’ufficio avrebbero preso sotto il loro assessorato tutti i pazienti ricoverati nei centri lungodegenti ospedalizzati e che nei mesi successivi avrebbero regolarizzato tutto tramite deliberazione della giunta provinciale, che oggi tutti conosciamo come la 408 del 9 giugno 2020. La deliberazione cosa prevede a grandi linee prima di procedere con i rimborsi ai familiari dei pazienti? Entro l’anno verrà fatta una commissione medica che valuterà i singoli casi, la quale deciderà chi avrà diritto al rimborso retroattivamente fino al 2017, stabilendo così un apposito capitolo di bilancio di 4 milioni di euro. La provincia ha messo questo paletto del 2017 per evitare molte causa, ma nessuno vieta di andare comunque a giudizio con tutto quello che ne potrebbe conseguire, anche magari con una possibilità di andare indietro fino ai dieci anni della prescrizione, ma queste sono solo dissertazioni. Quali sono le conclusioni di questa storia? Beh, che innanzitutto ai vertici della provincia tutti sapevano e nessuno faceva niente. Secondo che molti consigli dati a Maurizio risultavano essere solo dei semplici consigli per risolvere la sua singola situazione personale (come ad esempio quello di non pagare e andare in opposizione) senza considerare il fatto che in questo caso veniva ad essere leso un diritto del malato. Terzo, nella commissione medica prevista dalla deliberazione provinciale avrà diritto di partecipare anche un rappresentante dell’associazione che Maurizio ha fondato a tutela di tutti questi pazienti. La forza di Maurizio Puglisi Ghizzi e il risultato ottenuto è stato esemplare, lui avendo avuto la possibilità di ottenere tramite una singola causa l’esenzione dal pagamento ha perseverato per ottenere giustizia per tutti i familiari dei pazienti che in tutti in questi anni hanno ingiustamente pagato. Una alterazione tariffaria che ha in questi anni messo sul lastrico centinaia di famiglie, nell’assoluto disinteresse degli assessorati provinciali. Non è un caso che solo un consigliere comunale di Casapound nel comune di Bolzano con il supporto di parenti amici e militanti, abbia fatto breccia nel muro di gomma della provincia, perché quello che contraddistingue tutti i militanti è la ricerca perenne di giustizia e dei diritti sociali. Nel frattempo Maurizio continua a pagare la propria retta mensile, perché nessuno un giorno gli possa rinfacciare che tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per semplice interesse personale. Fin quando non ci sarà un provvedimento amministrativo ufficiale che sancirà l’esenzione del pagamento della retta alberghiera per diritto, Maurizio continuerà a pagare. Questa si chiama coerenza, questa è CasaPound.

Concludo ringraziando Maurizio per avermi rilasciato l’intervista, perché immagino che non è stato facile rievocare situazioni e sentimenti tragici del recente passato. A te tutto il mio rispetto e tutta la mia più profonda umana empatia. AD ASTRA PER ASPERA

G.L. Cerere

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