Bolzano, 12 febbraio  – Come ogni anno anche domenica 10 febbraio si è svolta per le vie cittadine di Bolzano la silenziosa e solenne marcia di CasaPound Alto Adige per la giornata del Ricordo in onore dei morti nelle foibe e per gli esuli istriani, fiumani e dalmati. Una processione tra torce e bandiere, lenta e composta in un silenzio assordante da rompere il cuore. Una dimostrazione d’amore eterno che non ha nulla a che vedere con la retorica delle frasi fatte da cerimonia dei soliti noti di turno. Quei politici che per convenienza e opportunismo si ricordano della tragedia del confine ad est, solo quando stanno sotto i riflettori della stampa, per pavoneggiarsi davanti al proprio elettorato, fanno semplicemente un loro lavoro. Ma la marcia con il Presente finale ha un valore simbolico e morale diverso. Ascoltare il silenzio nel proprio intimo e riflettere sulla tragedia che ha colpito centinaia di migliaia di italiani aiuta a prendere coscienza. Una coscienza diversa per ognuno dei presenti, ma uniti dal dolore nel cuore per le sofferenze di quegli italiani dimenticati e umiliati per troppi anni. Marciando nel massimo silenzio e piangendo mestamente, ricordavo che quella tragedia non fu la prima e l’unica tragedia della Dalmazia. Molti se lo sono dimenticato oppure non glielo hanno insegnato, ma l’inizio della tragedia degli italiofoni di Istria e Dalmazia incominciò con la firma del trattato di Campoformio. Il 1797 fu l’inizio del declino della cultura latina sulla sponda ad est dell’Adriatico. Un percorso di slavizzazione e di discriminazione di quelle sacre terre prima romane e poi veneziane. Ma è col 1922 che si può definire l’inizio dell’esodo degli italiofoni della sponda opposta, con la firma del Trattato di Rapallo. Con la fine della prima guerra mondiale e con la cosiddetta da D’Annunzio, a buon ragione, vittoria mutilata, nella quale i politici di turno smisero di rivendicare quei territori italiofoni, purché accordati in cambio dell’intervento del Regno d’Italia al fianco degli stati vincitori, si dette il via all’esodo e alla slavizzazione di tutta la costa est dell’adriatico. Come dimenticarsi dell’abbandono di quelle terre o dell’assimilazione degli italiofoni di Spalato, Sebenico, Traù, Ragusa, Cattaro, Perasto, ecc., molti anche approdati silenziosamente in altre rive italiche e mai ricordati da nessuno. Terre che hanno dato i natali a tantissini italiani che hanno contribuito alla crescita di questa meravigliosa nazione, ma che nessuno più ricorda o che non vuole ricordare. Con la parole del conte Giuseppe Viscovich di Perasto (oggi in Montenegro), 1797: “Se li soli tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, per viziati costumi, per dissensioni, per arbitrii illegali offendenti la natura e il jus delle genti, tue sarebbero state sempre le nostre sostanze, il sangue e le vite nostre, e piuttosto che vederti vinto e disonorato da alcuni dei tuoi, il nostro valore, la fedeltà nostra, avrebbero preferito di restare sepolti con te. Ma poiché altro a fare non ci resta per te, sia il nostro cuore la tua tomba onorata, e la nostra desolazione il più grande ed esteso tuo elogio.

G.L. Cerere

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