La rubrica di POSTACERERE

Bolzano, 16 settembre  – Parlare nuovamente di Solland Silicon non è mai semplice, anche se adesso il dado è più che mai tratto, ma proviamo a fare un piccolo riassunto dell’intera vicenda. L’industria di Sinigo si è trovata nel mezzo di un bel conflitto economico dove la politica provinciale targata SVP -PD prima e ora SVP-Lega ha giocato un ruolo cruciale per la sua chiusura. Come avevo già scritto il 22/11/2018 e il 24/04/2019, la fine era già scritta e annunciata. Stabilimento troppo italiano per mantenerlo in vita. Meglio riconvertire area e ridarlo a qualche imprenditore locale, possibilmente con i costi di bonifica a carico dell’amministrazione provinciale, vedremo. La procedura fallimentare a cui era sottoposta l’azienda aveva un suo iter ben preciso, il quale è stato pedissequamente rispettato. In questo caso gli attori in gioco erano molti: titolare dell’impresa fallita, maestranze, sindacati, giudice fallimentare con periti vari e infine i creditori; la cui maggior componente corrispondeva all’amministrazione provinciale. Si sa che il giudice non fa altro che seguire la legge fallimentare di un vecchio decreto Regio del 1942; comunque gli sono stati consentiti dei margini operativi perché si trattava uno stabilimento chimico ed esso rientrava nella direttiva Seveso e nel D.Lgs. 105/2015 (codice ministeriale DB006). Difatti nel marzo 2019 gli operai senza il sostegno di nessuno si erano rivolti direttamente al MISE, dell’allora Ministro di Maio, ottenendo udienza così da far pressione al giudice per provare a rifare un’ulteriore asta fallimentare.

Il seguito lo sappiamo, asta fatta e assegnata ad una azienda del Qatar che poi si è volatilizzata al primo vero scoglio di liquidità. Poi nuovamente palla rimbalzata alla giudice con una trattativa incessante anche con la provincia. Pure di notte direttamente davanti ai cancelli dell’azienda per garantire sicurezza, e grande merito ai lavoratori che fecero rientrare pericolo garantendo sicurezza. Poi la provincia stessa si fece garante sullo svuotamento con rassicurazioni sull’occupazione dei dipendenti, insomma il classico gioco delle parti con un’unica certezza, la perdita dei posti di lavoro, ma soprattutto l’abbandono di uno stabilimento che si poteva definire uno dei migliori 6 al mondo per la produzione di silicio monocristallo. Scusate l’espressione, ma è stato tutto buttato nel cesso, per i benpensanti diciamo gettato alle ortiche. Ora arriviamo alle ultime vicende. La scorsa settimana il 10 settembre la giudice fallimentare dopo una serrata contrattazione ha aggiudicato lo stabilimento con la rispettiva area alla Al Invest Srl per 1 milione e 750 mila euro. Questa Srl di due imprenditori locali, Ladurner e Auer, ha come unico scopo smantellare e bonificare l’area per un costo approssimativo tra i 20 e 50 milioni di euro. Dipende tutto da quello che si troverà nei terreni. La giudice però nell’interesse dei creditori e in accordo con loro però poteva scorporare in più lotti l’asta, magari rendendola più appetibile e più economicamente vantaggiosa. Poi sul banco della giudice però c’erano anche altre offerte che però non sono state prese in considerazione benché la legge sui fallimenti lo permettesse. Ad esempio si parlava di una azienda che aveva fatto una manifestazione d’interesse d’acquisto scritto non per lo smantellamento, ma per la ripresa della produzione, per un valore di 5 milioni di dollari. Molto di più del valore con cui la Srl locale ha speso per acquistare uno stabilimento da smantellare. La stessa inoltre avrebbe garantito sicurezza, produzione e occupazione. Insomma per quanto lecita e corretta la decisione della giudice diciamo che come prevede l’art. 108 della legge sui fallimenti “Il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui al quarto comma dell’articolo 107, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato”. Si capisce che la scelta poteva essere altra, se si fossero fatte altre valutazioni, ad esempio una base d’asta di 500 mila € per un siffatto stabilimento mi sembrano pochine. Opinione certamente discutibile, ma che rispecchia un modo certamente diverso di vedere la realtà. Si perché qui non si discute sulla correttezza del giudice, semplicemente si sono scontrati due modi diametralmente opposti di fare politica economica e due modi antitetici di vedere la realtà. In questo procedimento fallimentare la produzione dello stabilimento è andata in secondo piano rispetto alla vendita del bene, diciamo che è lo storico scontro in economia tra la legge di Say e le critiche Keynesiane. Il risultato finale è però sotto gli occhi di tutti. In questo modello neoliberista si vende perché si troverà sempre qualcuno disposto a comprare qualsiasi cosa. Sapete, per il venditore ideale il cliente deve innamorarsi del prodotto, rimanere legato ad esso da un profondo attaccamento, pur sapendo che il contenuto è uguale a quello di centinaia di altre marche concorrenti, ci deve essere un contrassegno che lo caratterizzi vivamente, e in questo caso secondo voi chi ha fidelizzato il proprio cliente?

G.L. Cerere

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